Solenne apertura della Porta Santa

LOCOmelia del Vescovo Pietro Santoro nella celebrazione di Apertura della Porta Santa nel Santuario di Maria Santissima di Pietraquaria

«Signore, donami un cuore grande, aperto ai pensieri di Dio, chiuso ad ogni meschina ambizione, capace di amare tutti, di servire tutti, di essere interprete di tutti».

Questa invocazione del Beato Papa Paolo VI ci accompagni durante la celebrazione eucaristica e durante tutto il percorso interiore dell’Anno Santo della Misericordia. L’apertura della Porta Santa in questo amato Santuario è stato il segno di un cammino che noi, popolo di Dio, dobbiamo compiere lasciando fuori dalla Porta ogni lacerazione di peccato per entrare, in sincerità di conversione, nel mistero immenso di Dio che ci accoglie con braccia di riconciliazione e di perdono. Perché Dio è sempre Misericordia, Dio è sempre accoglienza di tenerezza, Dio è sempre Padre che in Gesù è venuto e viene a cercare chi si è smarrito, per ricondurlo alla casa della festa: il Suo cuore, trafitto d’amore, spaccato d’amore per ogni uomo, per ognuno di noi.

Ma nessuno dica: «io non sono smarrito». Nessuno può dirlo, perché siamo tutti figli prodighi per quel poco o quel tanto che ci fa essere lontani dal vivere lo stesso amore che Dio ha per noi. Ed ecco di nuovo la preghiera: «Signore donami un cuore grande, un cuore aperto ai pensieri di Dio […] capace di amare tutti, di servire tutti, di essere interprete di tutti». Una preghiera che deve diventare gesto, fatto, per un cristianesimo di gesti, fatti, opere. Cristiani di misericordia come Gesù, Dio di Misericordia. Gesù non ha fatto discorsi sulla misericordia, ma l’ha offerta collocandosi dalla parte dei poveri, dalla parte dei peccatori, degli scarti, dei rifiutati. E ha fatto di più: è rimasto in mezzo a noi, compromesso con la nostra storia. E a domanda: «Gesù dov’è?» Dobbiamo rispondere: è rimasto in mezzo a noi, ha la fac
cia dell’uomo, ha la faccia della donna. È Gesù quell’uomo che ha fame, è Gesù quella persona sola e malata, è Gesù quella persona che viene da lontano e chiede ospitalità. Gesù è sempre da un’altra parte rispetto a dove noi pensiamo di trovarLo. Pensiamo di trovarLo in qualche sospiro religioso, invece Lui è lì dove c’è un corpo che soffre, dove c’è un’anima che soffre. Pensiamo di trovarLo al caldo dei nostri sentimenti devozionali, invece Lui è lì che bussa dinanzi alla porta delle nostre case e chiede di essere accolto e ha la faccia di tutti i giorni.

Un tempo si studiava la grammatica. Era una modalità della didattica. Oggi sono cambiate le forme di apprendimento: aumentano le forme di apprendimento elettronico. Noi, però, dobbiamo – riconoscendoci tutti analfabeti – riportare nella vita una nuova e antica grammatica: la grammatica della carità misericordiosa, così come l’Apostolo Paolo la scrive alla comunità di Corinto. Rileggiamola. La misericordia che si fa carità cerca unicamente il bene dell’altro, «non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto […] non gode dell’ingiustizia; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (2Cor 13, 5-7). Senza la Misericordia che diventa carità io sono un vuoto, un guscio vuoto. È vuota la mia cultura, sono vuoti i miei titoli, sono vuote le mie conoscenze, è vuota la mia speranza. Sarebbe come mettersi di fronte allo specchio e credere che la mia sia l’unica immagine del mondo, credere che gli altri servano soltanto per accrescere i miei egoismi. Mentre la speranza è sempre la corsa della vita percorsa con gli altri e per gli altri.

Scrive ancora l’Apostolo: «Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;
ma allora vedremo faccia a faccia» (2Cor 13, 12), il nostro volto di fronte dal Volto di Dio. E c’è un’espressione intensa di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore».

È tutto rinchiuso nella parabola evangelica del Giudizio finale e nella voce che ci dirà: mi hai riconosciuto o non mi hai riconosciuto nel volto dell’ammalato, del carcerato, del profugo. Quel volto ero io e tu ti sei fermato, oppure sei passato oltre indifferente o infastidito. È una verità scomoda, certo, ma le verità sono sempre scomode. Gesù – abbiamo ascoltato nel Vangelo – è stato cacciato dalla sinagoga della città di Nazareth quando annunciò una verità scomoda.

Non ripetiamo lo stesso gesto di Nazareth, allontanando il Signore dalla nostra vita, dai percrsi della nostra vita. Percorsi che il Giubileo vuole r
icondurre sui binari essenziali dell’amore di Dio ricevuto e donato. Ognuno di noi è un mistero immenso. Non siamo dei numeri usciti per caso da un gioco e abbandonati al caso. Ognuno di noi deve rinnovare su se stesso le parole rivolte da Dio a Geremia: «Prima di formarti nel grembo materno, io ti ho conosciuto. Prima che tu uscissi alla luce, io ti ho consacrato» (Ger 1,5). Siamo stati pensati e amati da Dio da tutta l’eternità. Ognuno di noi può dire «sono stato pensato da Dio dall’eternità», e il momento della mia nascita è stato il compimento del pensiero di Dio, dell’amore di Dio. Ma questo che vale per me, vale per te, per ogni persona che incontro, per ogni persona che è sotto il cielo e calpesta la terra. E se vale, incontrarci, volerci bene, sostenerci, condividere nella fraternità, perdonandoci, essere misericordiosi diventa l’unica parola del Vangelo che riassume ogni altra parola.

E quando sul nostro cammino scende la notte delle delusioni e dei ritardi, ci accompagni il sostegno di Maria Santissima e la consolazione del Salmo 70: «In Te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso […] Sii Tu la mia roccia […] sei Tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia […] Su di Te mi appoggiai fin dal grembo materno […] e oggi proclamo e tue meraviglie».

Santuario di Maria Santissima di Pietraquaria, 31 gennaio 2016